COMMENTI

Pubblichiamo in queste pagine i commenti che giungono al nostro sito dagli alunni e genitori dell’Istituto

“Ho scelto di leggere e commentare il testo di Isabella Pintea (2B) riguardo l’essere diversi. Isabella ha deciso di raccontare la storia di un ragazzo affetto dalla sindrome di Treacher Collins, che paragona la sua vita a quella del ragazzo del libro “Wonder”.  Luigi ha cambiato molte scuole a causa del lavoro dei genitori, ma per la prima volta in questa nuova scuola si è sentito a casa. I suoi compagni lo hanno accettato sin dal primo giorno e per la prima volta in vita sua ha trovato dei veri amici. Per la prima volta Luigi non si è sentito diverso dagli altri.  Diverso da chi e perché? Per una faccia non bella? Ma tutti noi siamo belli? Perché diamo troppo valore all’aspetto fisico senza capire che il bello di una persona viene da dentro? Ciò che ha raccontato Isabella, anche se credo frutto della sua immaginazione, rappresenta la realtà dei tantissimi ragazzi affetti da diverse patologie. Lei è riuscita a descrivere in modo semplice ed emozionante la vita di un ragazzo speciale. Isabella ha evidenziato il fatto che le persone “diverse” non sono differenti da noi. Sono ragazzi con un cuore, grande forza e personalità che devono essere rispettate.  Con parole calde che arrivano al cuore Isabella è riuscita a mettere in risalto i problemi che incontrano questi ragazzi ogni giorno. Ci sono anche dei casi particolari in cui la “diversità” è vista come una qualità, come un pregio e questa cosa, incoraggia i ragazzi a continuare a lottare, perché la vita anche se è difficile merita vissuta fino in fondo.  Quello che ha raccontato Isabella è un messaggio di positività e di speranza in un domani dove nessuno si sentirà colpevole per essere diverso.”                                              SOFIA NEAMTU IIID

 

 

 “Ottima iniziativa che consente non solo di mettere in evidenza le potenzialità dei nostri ragazzi ma offre un’importante occasione per utilizzare in modo corretto e consapevole gli strumenti che la tecnologia ci offre.”                                                                                                                           Una mamma

 

 

“L’idea di creare un giornalino scolastico online dove poter esprimere le proprie opinioni e condividerle con tutti è grandiosa. Il motivo per cui lo ritengo tale è perché a me piacciono questo tipo di attività e anche perché così tutta la scuola ha la possibilità di vedere cosa sono capaci di fare i propri alunni.      Molti dei nostri lavori sono già stati pubblicati, come ad esempio gli ultimi con argomento la Diversità; sono molto fiera che anche il mio elaborato sia stato pubblicato, ovviamente non solo il mio ma anche quello di una mia compagna di classe e di una compagna della classe terza. Riguardo il testo di Isabella (la mia compagna di classe) è stato un lavoro molto bello, che però somiglia molto al libro “Wonder” di R.J.Palacio, che parla di un ragazzo con una sindrome che gli ha deformato completamente il viso e veniva sempre deriso da tutti fin quando non è capitato in una classe dove per la prima volta è riuscito a sentirsi una persona normale. Il testo dell’altra mia compagna della terza C (Rachele) mi è piaciuto di più non perché è più grande e potrebbe avere più idee ma perché l’argomento e la storia mi hanno colpito particolarmente; la protagonista del racconto è diventata disabile a causa di una malattia che l’ha colpita a 5 anni, reagisce e fa di tutto per avere anche lei un ruolo nella vita. Riguardo a cosa vorrei migliorare, pensavo e parlando anche con i miei genitori, prima di tutto pubblicizzare di più il sito durante l’anno scolastico per farlo conoscere meglio alle famiglie e poi alla fine dell’anno creare un giornalino anche cartaceo e distribuirlo a tutti coloro che hanno contribuito, alle famiglie e anche alle classi, perché no, delle elementari. I testi inoltre dovranno essere, come sono ora tutti nominativi e non anonimi.”         Arianna Orfei IIB

PENSANDO A KANT… di I. Pintea, G. De Cillis, S. Wolozijn IIB

Alla domanda “Che cos’è l’Illuminismo?” Immanuel Kant risponde tramite un libro dove afferma che questa corrente è “L’uscita dello stato di minorità dell’uomo”. L’illuminismo infatti, è una corrente culturale che riguarda la politica, l’economia, la società, di un popolo e che si basa sul Metodo Scientifico di Galileo Galilei (osservazione, ipotesi, esperimento). Grazie all’intelligenza e alla razionalità (lumi della ragione), l’uomo poteva scacciare il buio e le tenebre (ignoranza, superstizione). Secondo questa logica, affermata da John Locke, chi ragiona e fa uso della propria mente può migliorare le proprie condizioni di vita e fondamentalmente siamo tutti uguali. Io penso che l’Illuminismo sia il metodo migliore per affermare la propria libertà, perché ognuno ha l’occasione e il diritto di esporre le proprie considerazioni senza esser ostacolato da nessuno; quindi “chiunque” potrebbe diventare “qualcuno” di importante. Grazie a questa filosofia possiamo avere una visione più ampia della realtà e possiamo essere liberi di realizzare i progetti che ci ispirano. In qualche modo “uscire dallo stato di minorità” ci aiuta a stare bene anche psicologicamente perché con “minorità” Kant intende “esser sottomessi a qualcuno di più potente, stare male”. Ragionare quindi ci aiuta a diventare qualcuno, a distinguerci, e a farci star bene, perché grazie all’intelligenza tutti possono sentirsi soddisfatti del fatto di non aver bisogno di dipendere o di seguire qualcun’ altro per vivere. Sono contenta del fatto che questa cosa si sia avverata nel tempo, perché il concetto di illuminismo è stato applicato anche alla politica dei giorni d’oggi. Anche se abbiamo paura di avere delle idee sbagliate, dobbiamo sempre avere il coraggio di esporle altrimenti ritroveremo ancora qualcuno che detiene il controllo su di noi. A mio parere questo principio rimarrà sempre nella storia perché dimostra che siamo tutti uguali e ci distinguiamo solo per il modo in cui ragioniamo e non per le ricchezze materiali che abbiamo o per il grado sociale per il quale veniamo riconosciuti. Per questo è giusto avere gli stessi diritti indifferentemente dalla situazione economica, dal partito politico o dal ceto sociale. 

Isabella Pintea IIB

Albert Anker, Le muse.

Le persone nascono tutte nello stesso modo , ma c’e chi nasce in un castello e chi in una capanna, ciò che fa la differenza tra gli uomini è la cultura e l’intelligenza. Nel 1700 la stragrande maggioranza dei bambini non andava  a scuola perché queste erano poche o inesistenti e l’istruzione avveniva attraverso maestri che andavano  a casa e venivano pagati. Chiaramente per pagare i maestri ci volevano i soldi e quindi tutto ciò se lo potevano permettere solo i nobili o i ricchi borghesi mentre gli altri bambini andavano a lavorare. Quindi mentre i figli dei nobili imparevano nuove cose e continuavano a detenere il potere, i figli delle persone del popolo crescevano nell’ignoranza. Per questo secondo me ciò che afferma Kant è importante. Se le nostre condizioni non migliorano dipendono dalla nostra incapacita di utilizzare il proprio intelletto o perché siamo svogliati, o più semplicemente perché le persone non avevano il coraggio di usare le proprie capacità per migliorare le proprie condizioni e preferivano ubbidire, queste sono le cause per cui le persone vivono in uno stato di “minorità”. Giorgia De Cillis IIB

L’illuminismo secondo me è una corrente culturale che ha portato alla libertà di espressione senza avere la paura di affrontare l’Assolutismo: l’Illuminismo secondo me è la Repubblica di oggi.
Le cose che ci ha lasciato è l’essere liberi, e l’essere liberi si raggiunge abbatendo l’ignoranza attraverso l’educazione ma purtroppo l’ignoranza e l’analfabetismo sono fenomeni ancora molto diffusi nel mondo.
Susanna Woloszijn II B

Lettere dal Fronte II – IIIC – IIID

Open Day 2020

Galizia, 18 novembre 1915

Cara Anna

mi mancate. Mi manca la nostra casa, il tuo sorriso, i pasticci combinati dai nostri figli. Erano piccoli quando sono partito per la guerra; adesso sono grandi e vanno a scuola. Siamo così lontani tra di noi, ma l’amore che ho per voi supera ogni distanza. Tutto il tempo penso a voi e alle sere trascorse in famiglia. Quanto mi mancano i momenti passati insieme, quando ogni piccola cosa ci rendeva felici. È stato un bellissimo sogno, adesso vivo un incubo. Da qualche giorno sto insieme ai miei compagni nelle trincee pensando che qua siamo al sicuro; ma ci siamo sbagliati. Un proiettile è volato sopra le nostre teste e si è fermato nel petto di un soldato che cadde rimanendo senza vita. Fuori fa freddo ed è nuvoloso. Il vento è gelato e la fame si fa sentire. Per un periodo non si sente più niente, forse i nemici si sono ritirati per prepararsi a una nuova battaglia. Il campo è pieno di neve e a malapena puoi camminare. Ad ogni passo inciampi sui corpi dei compagni defunti.  Ci portano da mangiare ma non basta per tutti, così ce lo dividiamo tra noi. Mangiamo in fretta perché non si sa mai quando saremo di nuovo attaccati. I nemici stanno tornando e combattiamo corpo a corpo. Lotto contro un soldato nemico e quasi riesco a sconfiggerlo ma questo mi prega di lasciarlo in vita perché ha da crescere 4 bambini. Questa cosa mi ha impressionato fino alle lacrime e l’ho lasciato scappare. Non ho idea di quando finirà questo incubo. Spero che fra qualche mese ritornerò a casa. Sappiate che ho un proiettile nel piede destro e che cammino difficilmente.  Voi che fate? Penso che è tutto più difficile senza di me soprattutto per i bambini che devono crescere senza un padre.  Anna, per favore parla ogni giorno di me ai bambini. Voglio che sappiano che hanno un padre che gli vuole un sacco di bene, che li porta in mente e in cuore sempre.  La notte sogno che siamo di nuovo insieme.  Mi auguro che questo sogno presto diventi realtà. Non riesco più a stare qui ma prego ogni giorno che questa guerra finisca presto e finalmente potrò tornare a casa. 

Tuo                           Antonio

Ciao tesoro… la notte, quando riesco a riposarmi e a pensare, mi torna in mente il suono della tua voce, il tuo profumo, le urla felici delle bambine che giocano. Penso è mi tornano in mente tutte le mie promesse. Ti avevo promesso di tornare presto,di festeggiare il tuo compleanno e di comprarti quelle scarpe rosse che desideravi tanto, rosse come il sangue che ogni giorno vedo calare dai volti dei soldati. Adesso, tutte le mie promesse e la mia felicità sono svanite in questo fucile e in questa divisa. Sono 2 mesi che combatto per la mia terra,la mia patria eppure non sento di farlo con orgoglio. Lotto con tutte le mie forze per i capricci e le pretese di un ragazzino che dovrei chiamare sovrano, ho lasciato la mia casa, la mia famiglia, la mia vita e questo inferno sembra non finire più. Sai, ho ucciso tanto, ho ucciso uomini che volevano come me soltanto tornare a casa, ho guardato i loro occhi mentre i proiettili li colpivano, e lo sento che in realtà non erano nemici. Erano nell’altra trincea ma ci giocavamo le stesse carte, nello stesso posto e con le mie stesse sofferenze. Ho tolto a loro il dono più prezioso. Lo so,lo immagino il dolore dei suoi cari,quando non tornerà a casa, quando non potranno nemmeno piangerlo nella tomba. Prego tutti i giorni che Dio mi perdoni. Qui fa sempre più freddo le mie gambe non reggono, molto spesso non riesco a stare in piedi , sento la pelle bruciare come se stesse per staccarsi . Il cibo scarseggia, e se mangiamo, mangiamo sempre cibi immangiabili,che per la fame riesco a divorare. Una notte ho sentito il mio compagno piangere gli sono andato vicino, cercavo di capire cosa avesse fatto, ma niente, lo sguardo assente e la voce tremante di paura riempiva il vuoto e diceva: “moriremo tutti, è nel peggior modo”. Il giorno dopo non lo vidi più dicevano che era diventato pazzo. Spero solamente sia tornato a casa e non rinchiuso in qualche manicomio o ucciso. Il suono assordante degli spari e dei cannoni rimbomba ancora nella mia testa e non credo di sentirci più come prima. Ho paura , ho paura di morire, di non veder crescere le mie bambine e di lasciarti da sola in questo mondo che ormai va a rotoli. Ho paura di non guardarti più con gli stessi occhi, se mai tornerò, di non essere più lo stesso. Non vedervi e non sentirvi mi distrugge sempre di più, ma a volte mi rincuora pensare che sotto lo stesso cielo non siamo poi così lontani. Le stelle, da questa trincea che sembra un buco nel terreno senza una via di uscita , sono le uniche  cose da ammirare, passerei ore a guardarle. Il mio essere sbadato stava per costarmi una mano: stavo per non mollare la presa della granata. Chissà quando uscirò da questa trincea, fantastico spesso il mio ritorno a casa. Se tornerò ti farò conoscere Lee,Scott e Paul ogni tanto riescono a strapparmi un sorriso con quelle canzoni sciocche che cantano. Ti piacerebbero sai?. Andrà tutto bene tornerò a fare il padre e il marito, sono vivo anche se un po’ malconcio spero solo che voi stiate bene . Di alle bambine che il papà gli vuole tanto bene e che tornerà presto, prega tanto per me io torno a riposare. Ci vediamo presto 

Tuo Friedrich 1 Gennaio 1916

Monte San Michele, 9 agosto 1916

Cari mamma e papà,

come state? Come vanno le cose lì da voi? Qui, all’ospedale da campo, la situazione va sempre peggiorando; ogni giorno vengono portate decine di feriti in pessime condizioni. Oggi, per esempio, abbiamo accolto un ragazzo molto giovane, ferito in maniera grave ad una gamba; purtroppo penso che gli verrà amputata, spero di non essere proprio io a dover assistere all’operazione, anche se non è la prima volta che devo aiutare il chirurgo in un intervento del genere. È che vedere un giovane perdere la gamba è tanto più doloroso, perché penso che la sua vita non sarà più la stessa. Cari genitori, non vedo l’ora che questa guerra finisca presto; sono molto stanca, perché non ho tempo per riposarmi, nei momenti in cui la situazione sembra più calma, nelle orecchie il rumore delle bombe, degli spari e i lamenti dei feriti mi impediscono di prendere sonno serenamente. Ogni giorno prego Dio che dalla radio arrivi la notizia che la guerra è finita, non mi importa di chi sarà la vittoria, voglio solo che tutto questo finisca e io possa tornare presto a casa per riabbracciarvi, mi mancate tanto, mi mancano quei bei pomeriggi trascorsi accanto al nostro camino mentre mamma riparava i calzini di papà ed io leggevo un libro, mi manca tanto quella serenità: qui si vive sempre in ansia, con la paura che bombardino anche questo campo. Chissà se quando tornerò a casa la mia vita sarà ancora la stessa, forse per molto tempo continuerò ad avere nelle orecchie questi orrendi rumori e queste grida spaventate. Mi chiedo davvero se riuscirò a dimenticare tutto questo. Non voglio spaventarvi, ma ieri abbiamo sentito cadere una bomba proprio qui vicino, ho avuto tanta paura perché ho pensato che il nemico si stesse avvicinando, ma poi non ci sono stati altri bombardamenti qui intorno. Sono quasi felice che papà sia di salute malferma al momento, altrimenti avrei avuto sempre la paura di ritrovarmelo qui, ferito. Purtroppo la mia pausa è finita, devo tornare al mio dovere; spero di ricevere presto una vostra lettera per avere vostre notizie.

Vi voglio bene, la vostra Rachele

Cara Marilena oggi 23 maggio 1916 sono qui a scriverti dalla trincea questa lettera e a raccontarti tutto quello che ho vissuto fino ad oggi. Sai, mi manchi molto… mi mancano anche i nostri tre figli che ormai non vedo da circa un anno e sono davvero triste perché non li vedo crescere e mi dispiace molto che loro passino questo tempo senza il loro padre. Ma che ci posso fare alla fine, se è scoppiata questa inutile guerra, a volte mi pare che i comandanti dei vari paesi siano solo dei bambini che giocano però non sanno che questo gioco è la vita e che la stanno rovinando a migliaia e migliaia di persone innocenti che non vedono l’ora di arrivare a casa sani e salvi ad abbracciare la propria famiglia. Oramai mi sento debole mi dispiace dirlo ma è così ma ti prometto che metterò tutto me stesso, tutte le mie forze, tutta la mia grinta per superare questo momento e uscirne vincitore insieme a tutta l’Italia, la Francia e l’Inghilterra. Ora voglio raccontarti quello che è successo in questo ultimo mese. Inizio nel dire che sono successe poche cose, perché si diciamocelo cosa mai potrebbe succedere in una guerra se non vedere morti su morti e ancor morti… ti dico che ho visto morire davanti ai miei occhi Giovanni senza poter fare nulla, non puoi capire quanto ci sono stato male ti dico solo che mi è scesa una lacrima dalla guancia e come anche tu sai è cosa rara che io pianga. È stato preso da un lancio ben pianificato che ha colpito anche altri compagni però per fortuna a me. Penso che al posto di Giovanni ci sarebbe dovuta essere un’altra persona ad esempio quei miseri capi che hanno fatto scoppiare questa guerra… non puoi capire quanta rabbia abbia avuto in quel momento. Ti prego cara moglie avvisa la famiglia di Giovanni dell’accaduto. Ora ti racconterò di quel momento in cui il sergente mi ha chiamato davanti a tutti e ha detto: “Io vedete lui, bene è solo uno come voi però lui ci mette tutto se stesso per sconfiggere questi nostri nemici. È uno come voi… però lo fa per la sua patria, per sua moglie quindi ora datevi una svegliata e andate a rendere fiera l’Italia”in quel momento mi sono sentito onorato da una parte ma da un’altra no perché se ci stai a pensare non faccio nulla di bello, nulla che mi renda felice solo sparare alle persone e questa cosa non è affatto bella anzi, vedere quei corpi per terra è una vera e propria tortura… tutta questa guerra, tutta questa situazione mi fa un lavaggio del cervello e non mi fa provare più le emozioni di prima il mio unico pensiero è o vivi o muori e giuro che vorrei tornare alla mia vita normalissima, a provare le emozioni belle, a stare con voi ma non posso. L’ultima cosa che voglio dirti è che stiamo vincendo quasi tutte le battaglie con le nostre forze e ne vado fiero; ciò significa che presto torneremo a casa suppongo e potremo vederci. Ho solo un pensiero che però mi divora da giorni e vorrei condividere con te, perché questa guerra perché tutti queste persone sacrificate la mia domanda è “perché sta succedendo ciò?” una risposta vera e propria non me la sono data però so che ogni volta che c’è una guerra il nostro mondo ha una evoluzione diciamo perché vengono creati nuovi macchinari anche se sono per la guerra. Non è una risposta sensata te lo dico però so che porterà ad un futuro magari migliore per noi italiani. Con ciò ho finito e ti dico cara moglie ti amo tanto, sei l’essenziale per me e amo tanto anche i nostri figli non vedo l’ora di rivedervi e abbi cura di loro, so che è un periodo brutto però passeremo questo periodo tutti insieme.

Con affetto Giorgio

Ospedale da campo di Bassano del Grappa, 4 dicembre 1916

Cara sorella,

sono qui seduta a scrivere una lettera che nemmeno so se ti arriverà mai o se leggerai tutta…magari la bruceranno, magari verrà stracciata, o forse persa. Solo oggi sono riuscita ad acquistare il coraggio di scrivere alla sorella che ho lasciato senza salutare, senza una parola, molti mesi fa. Solo oggi, seduta su questa sedia, scrivo a colei che si è sempre schierata contro di me ed il mio sogno di diventare una crocerossina e ora, solo ora, capisco il perché di quel tuo continuo “No”. Quando sono riuscita ad entrare a far parte delle crocerossine, ero talmente felice che il sorriso non andava dal mio volto e, invece, la tristezza sul tuo sembrava aumentare ad ogni passo che ci allontanava. Qui i feriti sono sempre di più, e delle morti non oso parlare: quella felicità che provavo si è tramontata in tristezza ed impressione di ciò che i miei occhi ogni giorno sono costretti a guardare. Oramai il sangue lo vedo dappertutto, in ogni luogo: ogni giorno il mio cuore ha una crepa in più e ogni giorno i miei occhi hanno voglia solo di chiudersi. A volte troviamo morti per assideramento, altre volte per asfissia per non parlare delle ferite e delle mutilazioni. Ho una gran voglia di scappare da qui. Penso a quella povera gente che come me è partita col sorriso ma poi non oso raccontarti cosa sia successo. Le pareti di questo ospedale, così improvvisato e fatiscente, sembrano sempre le stesse, i giorni non passano mai, non è da molto tempo poi che sono venuta a conoscenza di una brutta notizia, della perdita, cioè, di una mia amica, forse la migliore che abbia mai avuto qui. Hanno bombardato l’ospedale dove prestava servizio e curava, come me, quei poveri soldati in pericolo di vita. Dopo la notizia di questa morte sono riuscita a sentire quella sensazione di paura anche io, sono riuscita a sentire il pericolo e a respirare la nostalgia di casa, la mancanza di una sorella maggiore che non che non avrebbe mai voluto vedere triste, quella che anche dopo la morte dei nostri genitori è sempre stata forte ed ora sto scrivendo per augurarti quella forza che hai sempre avuto e che spero non ti venga mai a mancare. Lo so che solo ora le scuse non servono a nulla, ma voglio chiedere il tuo perdono per essermene andata voltandoti le spalle. Ti auguro il meglio, di vivere ed essere felice in ogni caso, e se questa lettere non arriverà mai, non preoccuparti, perché pregherò affinché tutto quello che sto ora scrivendo tu lo senta nel cuore.

La tua sorellina Chiara

Asiago, 11 novembre 1918

Buongiorno Francesca,

ho una notizia importantissima da darti. Ti scrivo solo ora, ma da quando la guerra è cominciata non ho avuto tregua: tu non puoi neanche immaginare l’orrore che hanno visto i miei occhi, ma fortunatamente quelle spietate armi hanno cessato di uccidere ed i soldati non hanno più nulla da temere…la guerra è finita! Posso finalmente tornare da te! Stento a crederci anche io, eppure è così. Tutti temevano la morte, ma non tutti sono morti. Neanche io so spiegare le emozioni che provo: sento una grande gioia, allo stesso tempo provo un grande rimorso per tutte quelle persone che sono state uccise per mano mia. Prima di questa guerra non avrei mai pensato di fare così tanti morti, neanche uno. Penso alle loro famiglie, che non avranno neanche un corpo su cui piangere. Io quelle persone me le ricorderò a vita, ma non potranno mai essere riportate su questa terra. La guerra non è bella, la guerra è cattiva, ma adesso è finita ed io sono vivo, nonostante tutto. Se tu non mi vedrai tornare non disperare, mia cara, sarò su uno di questi benedetti treni che si guastano di continuo. Non vedo l’ora di rivederti, sappi che tornerò presto, il tuo Fausto.

Ospedale da campo di Caliam, 27 maggio 1916

Ciao mamma, ho solo venti minuti per scriverti questa lettera, quindi cercherò di sbrigarmi. Mamma, ho paura: qui è un inferno: vengono soldati feriti ogni minuto durante gli attacchi, e contano tutti su di me, ho paura di deluderli. Soldati che rinunciano a tutto pur di salvare o liberare la propria patria. Questa mattina è arrivato un soldato gravemente ferito: ho cercato di fare del mio meglio, ma non ci sono riuscita: è morto. Non mi sento più pronta per questo lavoro, ho paura di far morire altre persone, come è accaduto questa mattina. Ho urgentemente bisogno di un tuo abbraccio, uno di quelli forti, e di quelle parole molto incoraggianti che mi dici sempre tu: ho bisogno di sapere che sono ancora forte, che non devo lasciarmi abbattere mai. Mi hai sempre ricordato che quello che faccio è per il bene di altre persone. È grazie a queste tue parole che mi sento me stessa, che sento di fare il mio dovere per la nostra patria. Sto sentendo il rumore di cannoni…mi hanno chiamato, devo andare mamma, ricordati che ti amo e salutami tutti. La tua principessa, Laura

Sacrario Militare di Caporetto

Zona di guerra del Carso, 29 agosto 1915

Amata mamma,

se stai leggendo questa lettera vuol dire che sono già morto. Volevo dirti che mi manca la tua bella voce e quel buonissimo cibo che prepari. Qui il cibo scarseggia e mangiamo cose immangiabili, anche se, in realtà, dopo un po’ ci facciamo anche l’abitudine. Ce la passiamo molto male, mamma, io, come del resto gli altri, stiamo impazzendo perché combattiamo gli austro-ungarici ed ogni volta perdiamo e perdono molti uomini. Le condizioni igieniche sono pessime: il bagno è una buca, lavarsi è impossibile. In più, dentro queste trincee passano dei ratti enormi! Mamma, io passo questi giorni in trincea come fossero gli ultimi, ormai ho paura di affacciarmi perché non voglio morire per un colpo di fucile o di baionetta. Non voglio pensarci. Come stanno i piccoli Carlo e Sofia? Di’ loro che mi mancano e che se non dovessi tornare, devono studiare e aiutarti nelle faccende di tutti i giorni. Mamma, anche se sono un uomo, devo ammetterlo: ho paura, mamma, mi servirebbe il tuo conforto. Mi sono fatto anche degli amici qui in trincea, sai? Ti salutano anche loro, ti abbracciano con affetto. Con questa lettera spero di non averti fatto commuovere, perché io ti conosco, so che sei una donna forte, ma con un grande cuore. Tuo figlio Roberto

Dobrugia, 22 settembre 1916

Cara mamma, ti sto scrivendo questa lettera nel bel mezzo di questa guerra, per dirti che sto abbastanza bene: ho solo qualche graffio, per ora. Il nemico è in agguato e colpisce quando meno te lo aspetti; tuttavia, mi sento lo stesso bene. È appena esplosa una bomba, ma sta’ tranquilla, sono abituato ormai. Volevo chiederti come stai e come si sta a Bucarest, qui non arrivano buone notizie purtroppo. Spero di tornare tra qualche mese, anzi, ti prometto che farò di tutto perché ciò avvenga, fidati. Se ti stai chiedendo come sta mio fratello Andy, sta bene, anche meglio di me, però ieri sera, mentre ci stavamo preparando per la notte, è scoppiato in lacrime: non ce la fa più; io l’ho consolato e gli ho detto che tutto andrà bene, che ogni giorno troveremo delle risorse per sopravvivere. Lui ha soltanto 20 anni, è la sua prima volta sul campo di battaglia; io invece di anni ne ho 27, ho un po’ di esperienza in più rispetto a lui, è da quasi un anno che sono in trincea. Santo Cielo!, ho appena saputo che è morto uno dei nostri commilitoni, temo che il tempo per questa lettera stia finendo, proverò a scriverla il più velocemente possibile. Vorrei chiederti come sta papà, con la sua malattia. Domani partiremo verso Cracovia per allontanarci dai tedeschi che sono troppo forti per noi. Qualche giorno fa un nemico mi ha accoltellato, ma per fortuna sono riuscito a difendermi; aveva del cibo in scatola e due borracce d’acqua, sono riuscito a prenderle. Adesso devo davvero salutarti qui: vi voglio bene, mamma e papà, vi prometto che io ed Andy torneremo insieme, sani e salvi.

Con amore, Patrick

Campo sesto sull’Isonzo, 24 giugno 1915

Ciao amore,

non piangere quando leggerai queste mie parole, mi manchi sempre di più. Mi rammarico moltissimo nel pensare che tutto ciò che stavamo costruendo nella nostra vita verrà presto distrutto: avremmo potuto metter su una famiglia, andare a fare ancora la spesa insieme e molto altro…ma spero che tu stia meglio di me. Qui è un vero inferno: l’allarme suona in continuazione, il rumore delle armi è sempre più frequente, il cibo sempre meno e i feriti aumentando di giorno in giorno. La mia salute scarseggia: inizio a svegliarmi la notte, col pensiero che presto suonerà nuovamente l’allarme, inizio a sudare freddo e purtroppo avverto dei forti dolori alle ossa. Spero solo che tutto questo possa finire il prima possibile e che io possa tornare a casa sano e salvo. Purtroppo anche quando ti scrivo il caos mi sovrasta: vedo soldati feriti, altri perdere il senno e altri ancora che come me ripongono la loro speranza in queste lettere per i propri cari. La nostra salvezza sono le crocerossine, sempre pronte ad aiutarci, ed il nostro cuoco, che nonostante le risorse di cibo scarseggino, non ci fa mai mancare nulla. Spesso ci ripetono che tutto questo è per proteggere la nostra patria, le nostre mogli e i nostri figli; questo ci consola molto. Oh, mia cara amata, ci stanno attaccando ancora, ma io sono determinato a concludere questa lettera. Nel frattempo vedo i soldati che corrono agli armamenti e sto ricevendo anche molte spinte, poiché, nella corsa si è talmente preoccupati ed impauriti da non renderci nemmeno conto di chi ci sia intorno a noi. Le crocerossine già hanno molti feriti da curare e i rumori degli allarmi, degli aerei e dei cannoni sono sempre più assordanti. Fortunatamente la nostra trincea non è delle più piccole, spostarsi è abbastanza agevole. Però, mia cara, prima di andare, vorrei dirti che ti ho amata e che ti amerò per sempre, anche se dovessi precederti nell’aldilà. Con te ho vissuto esperienze davvero uniche, che non…TAPUM! Sapevo che sarebbe finita così, sono stato colpito…ormai non soffrirò più…sarò lassù ad aspettarti e da questo momento in poi ti farò da angelo custode: vedrò la tua maturazione, il tuo nuovo uomo, quei bambini che tanto desideravamo. La cosa per la quale sono più dispiaciuto è che ti vedrò soffrire per me, con un velo nero che coprirà il tuo volto, con quello sguardo spento, con quella faccia pallida e le labbra di un rosa troppo chiaro. Cara amata, godi la vita, ricomponila e dimenticati di me. Questa volta siamo caduti troppo in basso ed è proprio questa volta che dovrai rialzarti da sola…io ci sarò sempre,

tuo Tonino

San Martino del Carso – Comando Austriaco

Base prima della Somme, 27 settembre 1916

Cara Marie,

è da tanto che non ho tue notizie, mi manchi. Voglio tornare a casa. Ogni giorno muoiono decine di soldati ed il triplo restano feriti. Qualche giorno fa i tedeschi hanno bombardato una parte della trincea…le crocerossine stanno facendo del loro meglio, accanto ai medici, negli ospedali da campo, ma chissà quanti ancora ne morranno? Alcuni dei corpi, in fin di vita, dei soldati non recuperati sono stati seppelliti dal fango e dalla melma. Anche noi spesso rimaniamo bloccati nella terra bagnata, per giorni interi. Se non ci fossero le pale, saremmo tutti seppelliti vivi. Basta ora parlare di me, come stai? L’ultima volta che ci siamo visti eri malata. Spero che tu stia meglio ora; appena questo inferno sarà finito, tornerò subito a casa. Sono partito pensando di tornare a Natale, ora c’è il rischio che io non torni più. Rischio anche di essere fucilato per aver esitato a premere il grilletto verso un nemico. Ma quale nemico? Questo povero ragazzo era giovanissimo e non me la sono sentita di sparare. Il comandante mi ha lanciato un’occhiataccia e ha sparato lui al giovane soldato. Poi se ne è andato come se non fosse successo niente; adesso ho paura, ma devo continuare a stare qui. Sei la mia unica motivazione in questo orribile ed indesiderato viaggio nel Tartaro della civiltà attuale. Ora devo lasciarti, tra poco quella maledetta campana ricomincerà a tintinnare, segnalando un nuovo attacco.

Non darti pena per me, ti abbraccio, Luc

Hanno scritto:

Lettera di Gilbert Cosmina Francesca Roman
Lettera di Julie Giulia Ferreri
Lettera di Massimiliano Massimiliano Bonanni
Lettera di Andreas Andrea Cocchieri
Lettera di Carlo Arianna Mancini
Lettera di Valeria Valeria Meloni
Lettera di Jean Garcon Luca Cristino
Lettera di Piero Dhaina Romano
Lettera di Andrea Andrea Carchella
Lettera di Rachele Rachele Cerini
Lettera di Federico Federico Tornese
Lettera di Chiara Chiara Golia
Lettera di Antonio Sofia Neamtu
Lettera di Fausto Lorenzo Floro
Lettera di Giorgio Diana Preda
Lettera di Laura Dayana Prada
Lettera di Friederich Francesca Macaluso
Lettera di Roberto Roberto Balice
Lettera di Patrick Robert Mihai
Lettera di Tonino Giulia Angelini
Lettera di Vittorio Danilo Fazzalari
Lettera di Friedrich Victor Sushko
Lettera di Luc Fabiano Tosoni

LETTERE DAL FRONTE I IIIC – IIID

Casella di testo: Altipiani di Asiago, 27 marzo 1917
Cara mamma,
spero che questa lettera vi arrivi visto che l’ho data a un vecchio boscaiolo che passava qui vicino. 
Ti scrivo questa lettera per dirti che sono ancora vivo e che sto bene anche se non credo di poter resistere ancora per molto. 
Come vorrei tornare a casa, vederti di nuovo e abbracciarti  dopo aver preso il nostro solito tè delle quattro... oh! Madre se vedessi le condizioni in cui tuo figlio deve stare, ti metteresti a piangere, tra fango e un pasto freddo continuiamo a far battere il nostro cuore. L’altro giorno sono morti due di noi, oh! Madre, e questa la fine che faro anch’io tra poco?
Di a mia sorella che le voglio tanto bene e che non vedo l’ora di rivederla, saluta anche mio padre, digli di non sforzarsi troppo e di riposare che tra un po’ tornero’ a casa e ricordatevi di pregare sempre per me.
Spero che questi miei righi vi siano di conforto, abbiate cura di voi, speriamo di vederci presto, con affetto 
                                                                                                                tuo figlio Gilberth.
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Altipiani di Asiago, 27 marzo 1917

Cara mamma,

spero che questa lettera vi arrivi visto che l’ho data a un vecchio boscaiolo che passava qui vicino. Ti scrivo questa lettera per dirti che sono ancora vivo e che sto bene anche se non credo di poter resistere ancora per molto. Come vorrei tornare a casa, vederti di nuovo e abbracciarti  dopo aver preso il nostro solito tè delle quattro… oh! Madre se vedessi le condizioni in cui tuo figlio deve stare, ti metteresti a piangere, tra fango e un pasto freddo continuiamo a far battere il nostro cuore. L’altro giorno sono morti due di noi, oh! Madre, e questa la fine che faro anch’io tra poco? Di a mia sorella che le voglio tanto bene e che non vedo l’ora di rivederla, saluta anche mio padre, digli di non sforzarsi troppo e di riposare che tra un po’ tornero’ a casa e ricordatevi di pregare sempre per me. Spero che questi miei righi vi siano di conforto, abbiate cura di voi, speriamo di vederci presto, con affetto

                                                                                                                tuo figlio Gilberth.

Locvizza, 24 giugno 1915

Cari genitori,

vi sto scrivendo queste poche righe per dirvi che sto bene fisicamente ma fatico emotivamente ad andare Avanti. l’unico modo per trovare la forza di andare avanti è quello di pensare e ripetere nella mia mente che tutto finirà presto. Sono già due mesi che siamo costretti a vivere in queste trincee, nonostante questo , qui ho incontrato molti ragazzi che come me ritenevano giusta questa guerra ma si sono dovuti ricredere, abbiamo imparato ad ascoltarci e a confortarci gli uni con gli altri, sono quasi tutti miei coetanei provenienti da tutte le regioni d’Italia. I nostri dialetti sono molto diversi tanto che a volte facciamo fatica a comunicare. Ieri sera siamo stati attaccati con molti colpi di fucile e mortaio e per difendere la mia vita e quella dei miei compagni ho dovuto sparare ad un uomo, nonostante i miei superiori mi ripetano che ho fatto il mio dovere sto molto male perche l’idea di aver ucciso un padre di famiglia o un ragazzo che non mi ha fatto nulla mi fa stare male e va contro ogni principio che mi avete insegnato. La guerra mi ha fatto capire che non esiste un uomo così forte da resistere a queste atrocità, infatti ho sentito nella notte il comandante e altri miei compagni  piangere. Cari genitori miei io vi prometto di essere forte e che l’orrore della guerra non mi piegherà . Arriverà presto il giorno in cui ci riabbracceremo, voi pensate soltanto a stare bene perché io ho già imparato a carvarmela e sono diventato un uomo.

Prego per voi che la guerra non vi abbia cambiati .

A presto vostro figlio Massimiliano

Forte di Vaux, 23 ottobre 1916

Cara mami,

è il 23 ottobre e mi trovo a pochi chilometri da Verdun, sul fronte occidentale, tra Germania e Francia. Probabilmente non sai nemmeno dov’è e forse, quando arriverà questa lettera, l’inverno sarà già passato, ma per farti capire meglio la situazione di disagio che c’è qui, nell’ospedale da campo, te la descriverò. Da poco si è combattuta una battaglia e la trincea è avanzata di 500 metri: questo significa migliaia di soldati caduti e molti feriti. Qui l’inverno è arrivato prima ed è anche molto imponente. Ogni sera vado a dormire molto tardi: mi stendo sul letto ma non riesco quasi mai a prendere sonno, a causa del freddo pungente, della paura che incombe e dei gemini dolenti dei feriti. Sai, sono riuscita a dormire solo una notte e ho fatto un incubo orribile: mi trovavo a terra, sdraiata, e accanto a me c’era il corpo deceduto di Philip, un soldato di 21 anni che viene da un paesino vicino al nostro; mi sono svegliata di colpo e ho sentito lo scoppio di due bombe. Madre mia, descrivere ciò che provo ogni giorno e ogni notte è così difficile che al solo pensiero mi viene da piangere. Qui ogni giorno muoiono soldati per infezioni, o persino per una banale influenza, tanto sono debilitati. Da poco una crocerossina è morta a causa di una bronchite e siamo rimaste in poche. Mami, ti ricordi quando giocavo ad essere un’infermiera, be’, quel sogno è diventato un incubo. Vedere persone morire, alcune volte anche amici, aver paura di morire io stessa, provoca un senso di angoscia enorme e, fidati madre, tutto ciò che dicono della guerra è finto. I giornali e alcuni politici parlano di guerra giusta, “unica igiene del mondo”, ma mentono, perché non hanno mai visto giovani ragazzi morire davanti ai propri occhi, non hanno sofferto la fame e non hanno mai avuto la paura di non avere un futuro. Al solo pensiero della parola “futuro”, il mio cuore si ferma, non so se avrò un futuro, non so se ti rivedrò e non so se mi sposerò mai. Sai, stando qui ho incontrato molte persone, per lo più uomini, e ho scoperto che l’unica paura dell’essere umano è la morte, che nessuna non ha paura e che stando qui scopri veramente cosa sia la paura. Mamma, ti ricordi quando da piccola avevo paura dei passi nel corridoio e tu mi dicevi che quei passi erano come il tempo, più passi c’erano e più il tempo passava? Qui accade il contrario: più sono i passi dei soldati, più il tempo rallenta e vorrei tanto che tu fossi qui per ripetere quella frase. Però tu non sei qui, tu sei molto più lontano, non ho certezze che sei viva e non so nemmeno se questa lettera arriverà, ma so per certo che tu mi senti e che un giorno ti rivedrò. Mi manca il suono della tua voce e la musica del grammofono che la mattina mi dava la forza di alzarmi dal letto. Ora, l’unica cosa che mi dà forza sono i soldati malati, che ogni giorno mi rendono felice, anche se dentro di me il cuore muore lentamente di terrore.

Ti bacio, Julie.

Verdun, 8 maggio 1916

Cara mamma,

ti scrivo per parlarti della mia spiacevole situazione al fronte. Ogni giorno noi soldati siamo costretti a combattere nella terra di nessuno, nelle trincee, immersi nel fango, tra cadaveri di soldati caduti e clima avverso. Comunque vadano le cose, non ci possiamo fermare, pena la fucilazione da parte dei più alti in grado. La salvezza di noi soldati è certamente l’ospedale da campo: a tal proposito, cara mamma, ricordi quando mia cugina voleva divenire una crocerossina? Ricordo bene che non ci parlammo per una settimana…avessi avuto io la possibilità di scegliere se rimanere o partire! Saluta il papà, è proprio grazie a lui se sono riuscito a divenire un meccanico di automobili, altrimenti avrei trascorso i miei anni chiuso in qualche fabbrica “uccidi-uomini”, trasformate in sforna armi, a causa della guerra. Ogni volta che combatto penso a te, ai tuoi abbracci, alle tue parole; vorrei essere a casa con te, a mangiare le tue prelibatezze, a cenare in famiglia. Qui invece mi sento solo, non riesco a socializzare con nessuno e ad ogni passo ho paura di morire, così, sul colpo, senza poter nemmeno pregare che la guerra finisca una volta per tutte. Per via del mio carattere timido e solitario, posso contare solo su di me. È ormai un anno che sono in queste maledette trincee e da allora dormo sempre poche ore, temo che ci bombardino senza poter scappare. L’altro giorno, mentre attaccavano una trincea francese, un proiettile mi ha colpito. Non ho visto più nulla, mi sono accasciato a terra e sono svenuto, senza forze. Mi sono quindi ritrovato nell’infermeria. Non preoccuparti, era una ferita di striscio, sto già meglio; qui è normale, anzi, sono stato molto fortunato. Cara mamma, come sta Jane? Quando sono stato colpito ho sentito la dolce voce di Jane, la mia amata: è un pezzo di me, mi manca vedere il suo sorriso dolce, i suoi occhi azzurri. Mi mancano il suo profumo, il suo sguardo misterioso e il suo carattere dolce e timido. Cara mamma, ho deciso di fare una promessa a te e a tutta la famiglia: anche se la Germania venisse sconfitta, riuscirò a tornare a Düsseldorf e tenterò di iniziare una nuova vita nell’officina di papà e rimanere sempre con Jane. Ora ti devo salutare, spero di avere presto tue notizie.

Vi amo tutti, Andreas

Germania, 11 maggio 1914

“Già dall’alba mezzi militari percorrono la città senza sosta, da una parte a un’altra e ogni due negozi appendono dei fogli enormi, tutti scritti con carattere minuscolo. Passati pochi minuti tutta la gente del quartiere corre velocemente verso quei fogli, anch’io vado. È impossibile avvicinarsi, tutti spingono e tutti urlano senza saperne il motivo; colto dalla mia curiosità mi faccio coraggio e come un carro armato mi infilo tra la gente per riuscire ad andare davanti. Ci riesco. Appena lì, lessi “Chiamata classe 1895, tutti gli interessati sono pregati di recarsi al 9° regimento di via San Andreas. Per ulteriori informazioni recarsi in caserma”. Una volta letto ciò corsi a casa pieno di euforia e presi lo stretto necessario, lo misi in una sacca di lana e corsi subito in via San Andreas. Arrivato lì c’era una calca di gente, tutti urlavano finché un soldato con una voce fortissima iniziò a parlare: “Tutti i qui presenti verranno divisi in ordine di peso, tutti dovranno mostrare il proprio documento. Successivamente verrete vestiti e armati per andare sul fronte francese.” Detto ciò iniziarono a pesarci e a smistarci per fasce di peso. Con me c’erano tanti altri uomini; eravamo tutti diversi, ma con un’unica cosa che ci accomunava, un sentimento. La paura, il timore e il terrore. Dopo qualche minuto ero in mimetica con un fucile, un corpetto provvisto di granate, munizioni e altre cose, un elmetto verde in tono con la divisa. Appena vestiti ci caricarono su un mezzo enorme, dove iniziò il mio viaggio.

 Jean Garçon

Verdun, 10 Agosto 1914,

salve madre, sono passati un po’ di giorni dall’ultima lettera che ho scritto ma non ti devi preoccupare, sto abbastanza bene. La scorsa volta mi sono dimenticato di chiederti come sta nostro padre e le mie sorelle, spero bene e spero anche che una volta finito qui tornerò in Francia, lascerò il lavoro in Germania e tornerò a casa. Comunque negli ultimi giorni siamo stati impegnati nella costruzione di una trincea, una sorta di buca enorme per ripararci, visto che hanno deciso di entrare in azione dal Belgio e poi scendere fino a Parigi per conquistarla. Il giorno seguente ho rischiato, anzi abbiamo rischiato di morire visto che quando sparavamo per un contrattacco un mortaio si è rovesciato facendo cadere l’ordigno a terra e con l’esplosione sono volate delle schegge di legno del controsoffitti che ci hanno colpito. Per questo sono dolorante alla gamba. Comunque nonostante ciò qui va male, gli inglesi sono pieni di grinta e ciò non li farà mai arretrare, poi con l’intervento dell’esercito francese è ancora più difficile riuscire ad avanzare. Ogni mattina prima che la tromba suoni per il cambio di guardia iniziano i bombardamenti, che fortunatamente non vanno mai in porto, ovvero che non centrano mai la nostra trincea; anche noi non mettiamo molti colpi a segno, perché tutti hanno paura di sporgersi troppo fuori: qui, ogni giorno, delle truppe escono fuori per andare all’assalto della trincea nemica, ma al loro ritorno sono sempre di meno. Qui è un terrore continuo; e non solo per il nemico, ieri abbiamo scoperto che ci sono dei traditori, e che sono disposti a fare di tutto. Nonostante sono qui da pochi giorni, sono in pessime condizioni fisiche: i vestiti si strappano di giorno in giorno, gli stivali con il caldo si stanno allargando e pietrificando, l’igiene…meglio non parlarne. Ieri il barbiere ha trovato dei pidocchi anche nel generale Fischer. Però a tenermi contento siete voi, il vostro pensiero mi fa passare qualsiasi dolore o tristezza legata a questa guerra; ho con me sempre una nostra foto, quella che ci siamo scattati sotto la Tour Eiffel, con papà stanco morto dal viaggio, con te che eri stracontenta del nostro viaggio, e anche dei vestiti che tutti noi ti avevamo comprato, e poi c’erano Charlotte e Florence imbronciate per via del viaggio perché sarebbero dovute andare al saggio di danza…che bei tempi.

Ma tutto ciò lo rifaremo perché una volta finito qui tornerò a casa: te lo prometto.

Fronte francese, Jean Garçon

Come ormai faccio da 1 anno o poco più, aspetto che i miei compagni cenino, e vado nella parte più nascosta della trincea, che è anche quella messa più in alto, mi è sempre piaciuto stare da solo e in alto, così apro il quadernino che utilizzo come diario e comincio a scrivere:

                                                                                             Caporetto 23 Giugno 1915.

Stamattina, come sempre,i nemici ci hanno dato il buongiorno a suon di bombe, tramite queste abbiamo perso ben sette soldati, ma non conoscevo nessuno di loro. In realtà conosco poche persone qui, circa dieci se non sbaglio, dieci su chissà quanti. Per fortuna ancora nessuno di loro è morto e per ancora più fortuna, neanche io. Oggi stranamente non è successo niente di ché, forse  con il caldo non funzionano le armi, o forse hanno capito che tutta questa messa in scena è inutile. Io di solito sto di guardia qui in alto, oppure resto ad aiutare i feriti,per quanto io odi la guerra, non ne ho ancora preso parte come gli altri, certo vado anche io al confine a sparare, ma è diverso da come lo fanno gli altri  e posso solo immaginare come si sentono dopo aver ucciso qualcuno. Finora non ho ancora fatto qualcosa per far sentire meglio i miei compagni, non ho mai cantato, offerto il vino, scritto lettere alle loro famiglie, anche se non l’ho fatto neanche per la mia. Probabilmente quando morirò non lo saprà nessuno, meglio così, almeno nessuno soffrirà più di quanto già sta facendo in questo momento. Tutto sommato qui sto bene, tolte le volte in cui rischio di morie, o di quando uccido qualcuno, cosa successa raramente però…” Finito di scrivere sento degli spari, allora scendo e vado ad avvisare gli altri che stavano ancora cenando, certo che domani mattina inizierà di nuovo tutto daccapo… come ogni giorno Carlo Mancini

Caporetto, 20 ottobre 1917

Carissimo Aldo,

come stai? Spero bene. Gli zii come stanno? E tua sorella Anna? Saluta tutti, di’ loro che mi mancano molto. Qui ho pochissimo tempo per scrivere, purtroppo c’è molto da fare: turni di guardia massacranti, perché siamo in pochissimi tra medici e crocerossine; gli scontri al fronte sono duri, ci sono sempre tanti feriti qui in ospedale ed è una vera lotta contro il tempo. Ho ventidue anni e mi ritrovo con la vita delle persone in mano. L’altro giorno ho soccorso un soldato che era stato colpito da un proiettile alla coscia: implorava il mio aiuto, ma versava in condizioni gravissime, non abbiamo potuto fare nulla. Questo giovane ragazzo, insieme ad altre centinaia di persone, mi ha fatto riflettere e mi sono chiesta che cosa stiamo facendo a questa terra, ai nostri uomini, alle nostre stesse vite. Mi chiedo cosa spinga un uomo ad odiare così tanto, fino a porre fine alla vita di un altro uomo, quale sia il desiderio che spinge due uomini diversi a scaricarsi addosso proiettili da una trincea all’altra. Io, di tutto questo, penso che la guerra sia una cosa inutile, che porta solamente morte e distruzione; questo ospedale sembra un inferno e spesso mi guardo e vedo solo la mia impotenza di fronte a tanto dolore. Caro Aldo, ti saluto, vado a salvare altre vite. Saluta tutti: vi mando un bacio e un abbraccio.

Spero di vedervi tutti presto,

Valeria

Sedan, agosto 1918

Amata Ginevra,

qui sul fronte siamo ormai tutti stremati sono due giorni che combattiamo senza sosta; il nostro generale è fissato, si capisce da quello che dice e che fa che non ce la fa più, ci da ordini in continuazione e non la smette, la maggior parte di queste regole sono insensate e per colpa sua è morta già un terzo della squadra. Ora ci stiamo difendendo dai contrattacchi dei nemici, che stranamente tutt’all’improvviso hanno cessato, mentre aspettiamo però con ansia l’arrivo dei rinforzi li stiamo bombardando senza tregua da qualche minuto perché pensiamo che si siano apposta fermati per bombardarci con l’artiglieria pesante e cerchiamo di prevenirli. Oh Ginevra! Io spero che tu stia bene perché sei l’unica cosa che mi fa continuare a combattere e a darmi la forza per sopravvivere, soprattutto dopo aver capito che non saremmo mai riusciti a finire la guerra dopo questo fatidico mese, cosa che ha abbassato il morale a molti della nostra truppa ma soprattutto a me perché mi mancate tutti e non vedo l’ora di tornare da vincitore; uno dei tanti vincitori tedeschi!

Tuo         Andreas

Valloncello dell’Albero Isolato, 5 agosto 1916

Mamma cara,

ti scrivo questa lettera per farti sapere che sono vivo anche se forse quando ti arriverà sarò già stato ucciso o dagli austriaci o dalla fame. Lavoriamo tanto e in trincea siamo trattati come animali, non abbiamo intimità, né cibo e quello che ci danno, anche se disgustoso, dobbiamo buttarlo giù. Perché questa non è solo una guerra a chi uccide l’altro per primo, ma a chi sopravvive per ultimo. Vivere qua è come essere a un passo dalla morte, perché non saprai mai quando i nemici ti attaccheranno e quindi bisogna essere sempre attenti e pronti a difenderci da ogni pericolo. Siamo pronti, tutti schierati, come delle statue appoggiate al muro, con i fucili. Osservando i volti dei miei compagni vedo che sono tristi, impauriti, ma anche determinati a vincere, di vivere per la propria patria e soprattutto per la famiglia. In questo silenzio snervante ti chiedo di pregare per tuo figlio perché possa uscire da questo inferno sano e salvo. Ti chiedo anche di rassicurare mia moglie e di abbracciare i miei figli e di pregare per me                                                         Tuo figlio Federico

Cima Quattro, 12 ottobre 1916

Cara mamma,

non so se questa lettera ti arriverà mai, ma io non perdo la speranza che ciò avvenga. Non sai quanto mi manchi e continuo a sperare che lì da voi sia tutto in ordine, non l’inferno che c’è qui. Qui, invece, il cibo sta diventando sempre più razionato. In questo momento sono in trincea ed è appena stato comunicato che un soldato del nostro battaglione è morto; vicino a me c’è il mio amico Jonathan, purtroppo ha un braccio rotto, stiamo aspettando che la crocerossina venga a soccorrerlo. Ho paura mamma, ho paura di non vederti più; mi ricordo quelle parole che mi hai detto prima di partire: “So che ce la farai”. Quelle parole mi stanno facendo fare del mio meglio per tornare a casa vittorioso. Ho però bisogno di un tuo abbraccio, delle tue carezze prima di dormire, dei tuoi baci, di sentire il tuo profumo. Oggi a pranzo ho mangiato solo pane raffermo e acqua; quanto vorrei quella pasta al sugo che fai tu! Non ti ho mai detto che ti voglio bene, ma non sai quanto te ne voglio, sopra ogni cosa. So che prima di partire litigavamo spesso, ma sei la cosa più importante e bella della mia vita. Ogni mattina, in trincea, penso a te, quando combattiamo penso a te, a lottare e a tornare vivo per te. Quando ho maneggiato la prima arma è stato strano: mi sentivo potente e ho pensato “Ora li uccido tutti, maledetti nemici”…ma poi ho pensato…che senso ha?

E mi sono ripromesso che ci rivedremo.

Mi raccomando, quando torno preparami tante tue prelibatezze, e salutami tutti,

tuo Piero

IL NOSTRO MILLENNIO di L. Cristino 3 D

Pian piano la nostra popolazione e in particolare la nostra generazione si sta avvicinando sempre più verso il primo secolo del terzo millennio, a proposito di quest’ultimo avrei un paio di cose da dire: in questi secoli molte invenzioni realizzate nel secolo scorso si stanno evolvendo, ma in alcuni casi, anche peggiorando; ad esempio l’automobile, che sta diventando sempre più tecnologica e sempre più all’avanguardia; oppure il telefono che alcuni usano per comunicare con il mondo sta diventando “un’arma portatile”. Nel campo della tecnologia ci sono molte scoperte e innovazioni, anche se non riesco a capire perché cerchiamo di inventare delle macchine, anzi dei robot che si dice che nel futuro ci sostituiranno, se poi siamo noi una macchina sofisticata, funzionante e soprattutto complessa, che si adatta al cambiamento e all’evoluzione del mondo? A questa domanda forse troverò risposta nel futuro ma il nostro millennio non verrà ricordato solo per le invenzioni e la tecnologia, ma anche perché nonostante tutta questa tecnologia ci sono uomini e donne che nel mondo muoiono di fame oppure sono costrette a emigrare per motivi politici; su questo argomento ci sarebbe molto da dire: secondo me le persone che fuggono sono molte anche se alcune emigrano controvoglia. Il nostro Stato è abbastanza accogliente sia per la sua storia che per la posizione, anche se ci sono politici che non accettano l’ingresso di persone straniere e allora fanno di tutto per non farle sbarcare mettendo anche a rischio la vita dei migranti. Un’idea che condivido è quella di aiutare la gente nel loro paese se vogliamo dare una mano. Posso capire che questo non è molto facile da realizzare anche se un po’ di mezzi ce li abbiamo. A questo punto potrei fare un paragone, ovvero che noi andiamo cercando tecnologie, invece altre popolazioni cercano ancora il modo di vivere bene. Concludo con il dire che tutto ciò sembra essere un circolo vizioso perché, più si inventano nuove tecnologie più si fanno guerre per ottenerle.