IL VIAGGIO DELLA VITA di L. Cristino 3D

Tutto iniziò molto tempo fa quando ero solo un embrione, ma poi con la crescita ho preso forma e dopo nove mesi ho visto per la prima volta la luce: inizialmente vedevo tutto bianco, poi tutto giallo ed infine più colori e vari oggetti nella stanza; quando una persona mi ha preso in braccio ho visto delle persone: una donna felice e abbastanza stanca, un uomo sollevato da qualsiasi pensiero ed infine un ragazzo, anzi un bambino che saltava nella stanza e urlava per qualcosa di cui era felice. Dopo un po’ di tempo rividi le stesse persone che mi guardavano e dicevano: Steve, Steve! Ecco, credo che questo sia il mio nome: Steve. Dopo qualche settimana cambiai luogo: mi trovai prima in una macchina e poi, dopo aver oltrepassato la porta, mi trovai steso in un letto piccolo e mi addormentai. Per il primo anno di vita le mie giornate erano uguali: mi svegliavo ogni due ore mangiavo, mi riaddormentavo, poi mi risvegliavo e mangiavo, così per almeno sette otto mesi; poi dal nono in poi iniziai a stare sul divano e provai a mettere per la prima volta i piedi a terra, anzi mi buttai sulle ginocchia perché non sapevo ancora camminare. Dopo qualche mese, finalmente, iniziai a camminare. Esploravo il mondo, ma preferivo restare in silenzio. Avevo tre anni quando i miei genitori mi mandarono all’asilo, dove ogni giorno puntualmente incontravo un mio compagno, Tony. Lui era sempre felice e, a differenza mia, qualche parola ogni tanto la diceva, io invece ero muto come un pesce anche se, molte volte, avrei voluto parlare perché sapevo la risposta. Dopo un po’di settimane, una domenica a pranzo mangiando le lasagne capitò che al primo boccone mi bruciai e sputandolo nel piatto dissi: “Scotta papà”, quella fu la prima volta che parlai. Da quel giorno in poi la mia vita cambiò, potevo giocare parlando, dare delle risposte giuste o sbagliate. La mia vita proseguì così per altri sei anni. Ero in quinta elementare: quegli anni di scuola erano trascorsi non molto lentamente, ma ad una velocità tale che mi  permise di apprendere le varie conoscenze e anche di fare delle esperienze che mi hanno insegnato a vivere. Ogni anno alla fine della scuola ero contento perché l’anno dopo sapevo che avrei rivisto i mie compagni, però quell’anno non era così perché dopo la quinta elementare si passa alla prima media e i miei genitori mi iscrissero a una scuola diversa da quella dei miei amici. L’estate passò e settembre arrivò velocemente; il primo giorno ero molto timido e pauroso perché essendo di un’altra scuola non avevo né amici né conoscevo altri ragazzi. Dopo i primi mesi, mi ero fatto degli amici ed ero simpatico a tutti; una cosa che mi stupii è che improvvisamente ero più intelligente perché alle elementari non ero una mente geniale, ma a me questo non dispiace. Passarono altri due anni e, come avvenuto alle scuole elementari, la mia cultura crebbe e le esperienze provate sulla pelle anche. Ero in terza media e agli esami portai un lavoro sull’elettricità e venni promosso con dieci e lode. Dopo l’estate piena di avventure arrivò per la quarta volta il primo giorno di scuola, però stavolta del liceo. Avevo preso l’industriale perché il mondo dell’informatica e dell’elettricità mi affascina molto, ero anche molto bravo. Passarono quattro anni e in quinto superiore mi ero fatto degli altri amici, oltre quelli delle medie, che venivano in classe con me, mi ero creato anche una nomea: quella del “secchione non secchione”, perché studiavo ed ero molto intelligente ma allo stesso tempo avevo rapporti con il mondo esterno. Questa volta l’esame di maturità era un po’ più difficile, ma anche qui uscii con il massimo dei voti. L’anno dopo presi la patente per la moto, anche se i miei non me la vollero comprare, così decisi di andare a lavorare quando non dovevo studiare per l’università. Finalmente, dopo cinque anni di università mi laureai in ingegneria informatica e con i risparmi del lavoro comprai la moto dei miei sogni. Provai a fare un concorso per entrare in un’azienda prestigiosissima che cercava un programmatore, feci il concorso e qualche settimana dopo andai a vedere il risultato, che era positivo. Il giorno stesso andai a dare le dimissioni dal capo dell’officina di auto in cui lavoravo. Passata l’estate andai a Roma, capitale d’Italia, dove entrai per la prima volta in un palazzo enorme e altissimo e, una volta dentro, chiesi alla segretaria dov’era il capo che mi avrebbe condotto alla mia postazione. Per fortuna con il lavoro andava tutto bene ed ero ben retribuito, dopo due anni di lavoro decisi di comprarmi un appartamento e così feci. La mia vita andò cosi per un bel po’ di anni e cominciavo a pensare di costruirmi una famiglia. Un giorno i miei genitori e mio fratello decisero di fare un viaggio, al quale io non partecipai perché dovevo lavorare. Purtroppo il viaggio non terminò bene: sulla strada di ritorno mio padre ebbe un colpo di sonno, la macchina sbando e deragliò fuori dalla strada andando a finire in un campo, si distrusse completamente e la mia famiglia morì. Per un anno fui sempre depresso, non ridevo e non scherzavo con nessuno; spesso in ufficio i miei colleghi festeggiavano il loro matrimonio ma io, dopo quello che era successo, avevo paura di sposarmi. Avevo il terrore di commettere quell’errore di mio padre, che involontariamente aveva determinato la vita di ben tre persone, anzi quattro. La mia vita, infatti, da allora non aveva più un senso per me, qualche volta pensavo di farla finita ma ognuna di queste volte decidevo di vivere la vita che i miei genitori, e soprattutto mio fratello, non avevano potuto finire di vivere, ma non ci riuscii. Passarono anni, tanti anni trascorsi sempre da solo e concentrato sul lavoro. Non vedevo né sentivo più i miei amici, parlavo solo con i miei  collaboratori in ufficio e dopo quasi trent’anni di lavoro andai in pensione. La mia vita dal quel momento in poi non fu così male perché quasi ogni giorno mi alzavo abbastanza presto, facevo qualche lavoretto nel giardino, a cui tenevo molto, mi facevo una doccia, mi vestivo e uscivo; una volta fuori facevo il mio solito giro al bar, dove chiacchieravo con estranei conosciuti per caso e che immaginavo fossero miei amici, camminavo un altro po’ e poi tornavo a casa. Negli anni di pensione non mi era mancato niente: avevo tutto e tutto andava bene, solo che un giorno mi svegliai, andai nel mio giardino, dove ormai i primi germogli iniziavano ad uscire, e mi ristesi sul letto finché, da un istante all’altro, il mio cuore si fermò e il mio corpo cedette. Da lì la mia anima si staccò e iniziai a volare verso il cielo. Questo è quello che mi è venuto in mente della mia vita, quando misi piede per la prima volta in paradiso. Non so come potreste interpretarla voi la morte, ma io la intendo non come la fine di un viaggio, ma un punto d’inizio; questa è la mia storia: le porte del paradiso, con un leggero movimento, si aprirono e potei finalmente riabbracciare la mia famiglia e dare un senso al mio lungo e solitario viaggio.