UN PAIO DI SCARPETTE ROSSE di F. Lattanzi 2B F. Tornese 3D

C’è un paio di scarpette rosse 
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”.
C’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buckenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono.
C’è un paio di scarpette rosse
a Buckenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.
Joyce Lussu

Questa poesia è dedicata a tutte le persone, soprattutto ai bambini, che sono stati strappati dalla vita di tutti i giorni e portati nei campi di concentramento, dove non erano riconosciuti più come esseri umani ma come numeri, erano diventati degli oggetti a cui veniva tolto tutto ciò che gli apparteneva, compresa la vita. Tutto ciò che è successo deve rimanere impresso e devono saperlo tutte le generazioni future, fa parte del nostro passato, della nostra storia ed è un obbligo saperlo… Un evento che non deve più accadere e solo noi possiamo evitare che riaccada. A mio parere le persone sopravvissute a questo dramma, devono raccontare tutto ciò che ricordano per ampliare le informazioni.

Nessuno potrà mai restituire ai genitori, ai bambini e agli anziani la possibilità di vivere che gli è stata tolta ma può rimanere vivo il ricordo della loro vita nella memoria per tutte le generazioni future.

                                                                                                                            

Art Spiegelman, Maus

Questa poesia mi ha fatto rabbrividire ed arrabbiare quando l’ho letta.

La montagna di scarpette descritta è il simbolo di un qualcosa che non dovrà accadere mai più, i bambini che indossavano quelle scarpe ora non ci sono più e non potranno camminare e percorrere la strada della vita. A questi bambini è stato tolto il diritto di giocare, di conoscere i propri genitori e soprattutto quello di vivere. La mia frase preferita, ma anche quella più terribile, è quella che dice:

 “Chi sa di che colore erano gli occhi, bruciati nei forni”, perché, quando la leggi, è come se ti crollasse il mondo addosso e ti sembra di essere lì con quegli occhi che ti guardano senza sapere ciò che li aspetta.Un’altra frase che mi ha colpito è “Perché i piedini dei bambini morti non crescono”, perché la parola “morte”  affianco della parola bambini non dovrebbe mai essere scritta.

Perché un bambino non può non crescere.

Le immagini delle scarpe e quella dei piedini che non cresceranno mi ha dato l’idea del loro tempo che si è fermato troppo troppo presto.

La cosa che più mi ha fatto piangere e ferire il cuore è stato il pensiero di questi bambini che non solo sono stati condannati a morte senza sapere il perché, ma non hanno avuto il conforto della mamma. Si saranno sentiti soli e abbandonati? Avranno pianto chiamando mamma?

La storia dovrebbe insegnare a non ripetere gli stessi errori, perché ancora oggi i bambini sono vittime di violenza e ancora oggi ci sono scarpette rosse e piedini che non cresceranno mai.