PIU’ UNICI CHE RARI di A. Orfei, I. Pintea IIB, R. Cerini IIIC

Secondo me nella vita si può essere diversi o per natura o per scelta personale. Da quanto ho notato fino ad oggi per le altre persone il termine “diversità” riveste generalmente un significato negativo, perché quello che non conosciamo ci mette paura e quindi spesso rifiutiamo il prossimo perché non si conosce. Invece, secondo me, il termine diversità dovrebbe avere un significato positivo; a mio parere il diverso porta conoscenze nuove, le loro tradizioni, ed il suo modo di pensare serve per l’arricchimento di tutti. Per questo quella persona non dovrebbe essere vista con sospetto ma con curiosità ed essere sempre accettato e soprattutto non lo si deve insultare perché ognuno dovrebbe essere lasciato libero di esprimere il suo modo di essere e le sue idee.

Ognuno di noi è unico e la diversità è l’unica cosa che ci permette di dimostrare di essere unici. Abbiamo infatti il compito di mettere da parte il razzismo, il bullismo e concentrarci di più su ciò che ci può realmente arricchire come persone, perché la diversità è un dono che va sfruttato nel migliore dei modi possibili, dove ognuno di noi ha delle qualità che caratterizzano l’unicità delle persone.

Ricordo che 6 anni fa ero in vacanza con i miei genitori e delle amiche in Sardegna,  lì conobbi una ragazza di nome Fatima, era musulmana ed era venuta insieme ai sui genitori in Italia a causa della crisi che aveva colpito il suo paese; inizialmente essendo ancora piccola ed ingenua pensavo che Fatima fosse davvero tanto diversa da me, insomma, sta di fatto che guardavo Fatima con un pò di “paura” e pensavo che non potessimo diventare amiche, ma in fondo in fondo anch’io l’avevo accettata, solo che non volevo ammetterlo; intanto passavano i giorni e Fatima si sentiva accolta sempre di più sia nel paese sia nel gruppo. Lei era una ragazza semplice, gentile, sincera, insomma era una bella persona… soltanto che l’ho capito troppo tardi, infatti solo nel momento del bisogno l’unica che mi restò vicina fu lei. Strano ma vero, chi si aspettava che fra tante amiche, Fatima fosse quella che mi avrebbe aiutato? Ancora oggi ho mantenuto i rapporti con lei e quando ripenso a questa storia mi viene da ridere, quindi, l’importante è non ripetere mai gli stessi errori ma anzi, imparare sempre dai propri errori, così come ho fatto io.   Arianna Orfei IIB

F. Tornese, “Andando”, III D

UNA VITA NORMALE

Mi chiamo Jennifer, ho 13 anni, la carnagione chiara e sono un po’ magrolina. Ho i capelli rossi ed anche per questo ho le lentiggini sul viso. Purtroppo, quando avevo 5 anni, ho avuto una grave malattia che mi ha bloccato l’uso delle gambe e per questo mi ritrovo su una sedia a rotelle. All’inizio non è stato molto facile adattarmi, però crescendo mi sono abituata a questa situazione, anche perché ho avuto delle amiche che non mi hanno mai fatto sentire diversa da loro.

Oggi è mercoledì, abbiamo Educazione fisica ed è la mia giornata “jolly”: proprio per questo, io adoro questa materia. La mia professoressa, Gianna, ha sempre trovato il modo di includermi insieme agli altri, adattando le attività alla mia situazione: nella corsa, ad esempio, sono una campionessa, arrivo sempre prima di tutti ed ho collezionato una marea di 10. Non sono contenta solo per questi voti, ma soprattutto per il tifo dei miei compagni che mi hanno soprannominata “Flash” e di questo ne vado molto fiera; sicuramente anche oggi sarà lo stesso.

Come mia abitudine alle 7:30 sono già pronta per uscire di casa: la scuola è un po’ lontana, per questo dobbiamo partire in anticipo per arrivare in orario, perché la campanella suona alle 8:10 in punto. La mia aula si trova al primo piano e quindi devo prendere l’ascensore. So che quando arriverò al corridoio troverò Sara ad aspettarmi, perché abbiamo l’abitudine di fare a gara a chi arriva prima; vi confesso che la lascio vincere sempre, ma lei non se ne accorge mai. Con lei siamo amiche inseparabili da quando l’ho salvata dalle grinfie di un bullo; quel giorno sono arrivata appena in tempo per caricarmela sulla sedia e “flashare” via come un razzo, così che il bullo ha rinunciato a rincorrerci; e menomale, perché probabilmente saremmo cadute per quanto correvamo.

Finalmente, dopo l’ora di Tedesco, c’è Educazione fisica e per questo devo riprendere l’ascensore; mentre le altre si cambiano le scarpe io controllo se la mia sedia è ok, perché io non devo cambiarle. Oggi la prof ha preparato una corsa a staffetta maschi contro femmine, anche se è stata una novità ci siamo divertite molto, perché più di una volta mi è caduto il testimone – non riuscivo a tenerlo bene tra le gambe – così sono dovuta tornare indietro a riprenderlo, ed è stato molto buffo. La mia squadra non ha vinto, però siamo state contente lo stesso, siamo tornate in aula che ancora ridevamo come pazze. Quando sono tornata a casa ho raccontato tutto a mia madre, perché per me è come un’amica e mi piace parlarle delle mie avventure scolastiche, anche lei si è divertita molto. Questa sera, dopo i compiti, mi sono messa a riflettere: è vero che non avrò mai una vita “normale”, però mi sento fortunata ad avere intorno a me persone che mi vogliono bene nonostante il mio problema e che, anzi, a volte mi fanno sentire speciale, come dire, più unica che rara.

Rachele Cerini  IIIC

A. Carchella, “Insieme”, III D

Ciao a tutti, mi chiamo Luigi e frequento la seconda media. Da poco tempo mi sono trasferito con i miei genitori in una città vicino Roma cambiando scuola. Ho paura di come potrebbero accogliermi lì, per via del mio aspetto. Non è facile vivere con la sindrome di Treacher Collins. La mia vita, infatti, è come nel romanzo Wonder. La  malattia non mi consente di vivere normalmente, perché mi fa avere un aspetto molto strano, a tal punto da esser evitato ovunque io vada. Ho sempre cercato di convincere i miei ad iscrivermi a una scuola privata, ma secondo loro devo iniziare ad abituarmi ai comportamenti delle persone che mi circondano. Ho temuto il peggio per il primo giorno nella nuova scuola, ma in realtà è andata meglio di quanto mi fossi potuto immaginare. La mia classe è la 2B, e, sinceramente è la classe migliore che mi potesse capitare. Nonostante io e i miei genitori cambiamo continuamente città a causa del loro lavoro, non sono mai stato in una classe come questa: nessuna presa in giro, nessun’ occhiataccia, nessuna smorfia di disgusto, niente domande impertinenti sul mio problema. Insomma, per la prima volta sono riuscito a sentirmi come se fossi una persona dall’aspetto normale. Nelle altre classi in cui sono stato avevo i classici amici che sanno parlare solo della cosa che ti fa stare più male, quella cosa di cui non vorresti sentir nominare neanche il nome. Avevano impegni ogni mio giorno di compleanno e anche ogni pomeriggio in cui mi andava di uscire. Gli unici con i quali avevo un buon rapporto erano “quelli come me”. Tutti i miei amici avevano una patologia diversa, ma la mia era totalmente un’ altra storia. Mi sentivo diverso, più vulnerabile, come se fossi separato dal resto di tutte le altre persone. Ma nella mia classe i miei compagni non si vergognano di farsi vedere con me in giro e non trovano scuse per non uscire con me il pomeriggio. Eppure ho un aspetto inguardabile. Insomma, ho una faccia totalmente deformata, non posso negarlo. Ma il mio gruppo è del parere che non sono così male come penso, alla fine. Nonostante tutte le cose incoraggianti che mi dicono ogni giorno, non avrei mai pensato di trovare l’appoggio sul quale mettere da parte le proprie insicurezze. E invece l’ho trovato: questo appoggio per me rappresenta la mia classe. Quando sto con loro mi dimentico di come apparo e mi ricordo chi sono. E questo avvenimento è una svolta enorme per me, perché ho sempre pensato di non essere abbastanza, ho sempre cercato di nascondere il vero me per paura di non esser accettato, ho sempre pensato di dovermi migliorare e ho fatto di tutto per diventare qualcun’ altro. Ma poi ho capito che sbagliavo quando ho trovato quelli che attualmente considero veri amici: un gruppo di ragazzi che mi ha accolto a braccia aperte senza guardare la mia faccia, senza giudicare dall’aspetto. Probabilmente se mi fossi nascosto dietro ad una maschera non avrei tirato fuori un po’ del mio carattere, e mi sarei dimostrato un codardo. Per questo essere sé stessi fa la differenza. Io non ho mai pensato di poter andare avanti nella vita a causa della mia patologia. Poi però i miei compagni mi hanno convinto che sono unico così come sono e non ho bisogno di cambiare per alcun motivo. Vorrei mandare un messaggio a tutti, specialmente a chi soffre di una determinata patologia o a chi crede di esser sbagliato, ovvero quello di andare avanti nonostante tutto. Perché alla fine troveremo sempre qualcuno che saprà apprezzare la più bella parte di noi guardando oltre l’aspetto; qualcuno che sarà disposto ad essere nostro amico e ad aiutarci. Anche la scuola mi ha aiutato moltissimo, non solo per avermi insegnato cose nuove, ma mi ha dato l’occasione di aprirmi verso gli altri, di diventare qualcuno e di non essere più un’ombra. Vorrei che questa occasione sia permessa a tutti i ragazzi malati, affetti da qualche malattia che complica la loro vita. Perché tutti meritiamo l’opportunità di farci valere per quello che siamo, di diventare qualcuno. Di essere noi stessi e di farlo vedere al mondo.

Isabella Pintea IIB